L’odissea giudiziaria di Giovanni Jacobazzi: “Assolto dopo 17 anni, chi me li restituisce?”

Il gorgo infernale di Green Money
Nel 2008 venni nominato comandante della polizia municipale dell’allora sindaco di Parma Vignali. Nel 2011 l’arresto: la Procura mi accusava di corruzione. Da lì un gorgo infernale

Riceviamo e pubblichiamo la lettera ricevuta da Giovanni Jacobazzi in merito all’odissea giudiziaria che lo ha visto coinvolto per 17 anni e da cui è uscito totalmente assolto.
Caro Piero, a distanza di 17 anni dai fatti, sono stato assolto nel procedimento penale aperto contro di me dalla procura di Parma. Condivido la notizia con te che sei stato il mio primo direttore, facendomi scrivere quando ero rimasto senza lavoro. Come sai, prima di diventare professionista facevo altro. Dopo aver fatto l’ufficiale dei carabinieri, nel 2008 venni nominato direttore del settore sicurezza e comandante della polizia municipale dall’allora sindaco di Parma Pietro Vignali. All’alba del 24 giugno del 2011 venni arrestato in diretta tv dalla guardia di finanza. La procura di Parma mi accusava di aver preso una tangente da 5000 mila euro su un importo di 10mila per la realizzazione del prato del canile della polizia municipale. Insieme a me furono arrestati tutti i vertici dell’Amministrazione, ad iniziare dal sindaco. Fu una retata in grande stile. L’indagine prese il nome di “Green Money”, ipotizzando un vorticoso giro di “stecche” nella gestione degli appalti pubblici relativi alla manutenzione del verde e dei parchi pubblici.
Trascorsi 40 giorni in carcere, 2 mesi ai domiciliari, e per altri 2 mesi fui sottoposto all’obbligo di dimora. Tornai completamente libero poco prima di Natale di quell’anno. Nel frattempo, mi ero licenziato ed ero rimasto senza lavoro, con la terribile accusa per un pubblico ufficiale di essere corrotto. Per circa quattro anni non seppi più nulla di questa inchiesta. Nel 2015, quando avevo iniziato a scrivere per te al Garantista, mi venne notificato l’avviso di conclusione delle indagini. Tornai a Parma per prendere gli atti e rimasi senza parole, scoprendo di essere stato intercettato per tutto il 2010: i finanzieri avevano messo cimici ovunque nel mio ufficio, pedinandomi, come si fa con i grandi criminali, per mesi. Il costo delle intercettazioni e delle trasferte dei finanzieri, le cosiddette “spese di giustizia”, era di un milione e duecentomila euro. Soldi dei contribuenti italiani che in caso di condanna avrei dovuto pagare io. Chiesi di farmi interrogare, anche se il pm aveva già fatto sapere di voler rinviarmi a giudizio. All’udienza preliminare mi sottoposi ad un lunghissimo interrogatorio, con documenti alla mano per dimostrare la correttezza del mio operato. Senza alcuna speranza, visto che tutte le statistiche dicono che il 98 percento di queste udienze si conclude con il rinvio a giudizio da parte del giudice.
Il processo finì con una condanna a tre anni e sei mesi. Non mi vennero date le attenuanti generiche, che, normalmente, si danno a chiunque. Nella sentenza, a novembre del 2017, l’accusa di corruzione era cambiata però in quella di tentato abuso d’ufficio. Credo di essere stato nell’ultimo decennio l’unico cittadino con una simile condanna. In pratica non avevo preso mazzette, ma avevo tentato di violare le norme sugli appalti pubblici. Magra soddisfazione. Feci naturalmente ricorso. La Corte d’appello di Bologna è un buco nero e per la fissazione dell’appello dovetti attendere, nonostante avessi fatto diversi solleciti, cinque anni. Arrivato il mio momento, nel 2023, i giudici di Bologna nel dichiarare la prescrizione del reato decisero di rimandare però in primo grado il fascicolo: se era cambiata l’accusa, da corruzione ad abuso d’ufficio (tentato), serviva una nuova contestazione ed un nuovo processo. Qualche mese fa, anche se il mio tentato abuso d’ufficio si era prescritto ed il Parlamento aveva comunque abolito la fattispecie, il giudice Maurizio Boselli, il mio “giudice a Berlino”, volle entrare lo stesso nel merito. Rileggendo i medesimi atti che mi avevano portato in carcere con l’accusa di corruzione e poi determinato una condanna per tentato abuso d’ufficio, mi ha assolto con formula piena.
A margine della vicenda penale, accaddero anche altri fatti. L’indagine comportò, ovviamente, la caduta anticipata dall’amministrazione Vignali ed il commissariamento del comune. I finanzieri che avevano condotto l’inchiesta vennero premiati e promossi per la brillante operazione contro la corruzione. Le nuove elezioni furono vinte dal M5S e Federico Pizzarotti divenne il primo sindaco grillino di una grande città al grido di “onestà, onestà!”. Anche il procuratore che aveva condotto le indagini decise di candidarsi, venendo sconfitto da Pizzarotti, con una lista di centrosinistra e quindi con i partiti che erano stati all’opposizione della giunta Vignali, caduta sotto il peso della sua inchiesta. La pm titolare del fascicolo, invece, si scoprì avere un “conflitto d’interessi” dal momento che il marito aveva presentato la candidatura per prendere il mio posto e lei non si era astenuta dall’arrestarmi. Ci furono diverse interrogazioni parlamentari sul punto ed una indagine a loro carico che finì in un nulla di fatto. Per poter procedere contro la pm, scrissero i colleghi di Ancona che l’avevano indagata, avrei dovuto essere prima assolto. Solo in quel modo ci sarebbe stata la prova che la sua indagine fosse stata strumentale per togliermi anzitempo di mezzo. Anche la procura generale aprì un fascicolo disciplinare, ma tutto si concluse in una bolla di sapone.
Tornando a “Green money”, oltre al sottoscritto, mi piace ricordare che in questi anni nei vari filoni dell’inchiesta sono stati tutti assolti. Tranne chi, come purtroppo capita, non regge e decise di patteggiare, coloro che hanno affrontato il processo si sono infatti visti riconoscere la propria innocenza. Sempre per la cronaca, il procuratore andò poi in pensione e la pm venne promossa procuratrice capo. Molti mi dicono che dovrei fare qualcosa. Ma non farò nulla. Nessuno può restituirmi gli anni passati in questo gorgo infernale. Mi farebbe però piacere raccontare l’accaduto al ministro della Giustizia. Ho intervistato Carlo Nordio più volte prima che diventasse Guardasigilli. Conosco bene il suo animo liberale e garantista. In questi mesi, si discute di separazione delle carriere ma nessuno affronta il tema, centrale, della professionalità degli inquirenti. Nella mia indagine c’è l’apoteosi degli errori: dalle intercettazioni mal trascritte, ai sopralluoghi sbagliati, alle determine dirigenziali lette male.
Un solo esempio: la famosa mazzetta di 5000 euro che mi avrebbe poi consentito l’acquisto di un ulivo secolare da mettere nella mia casa di Santa Marinella. Gli inquirenti ne erano certi dopo aver effettuato uno dei tanti pedinamenti. Peccato però che nel fascicolo depositato in dibattimento gli ulivi fotografati fossero quelli della casa del vicino! Ed infine i tempi: una indagine che ha fatto cadere un’amministrazione democraticamente eletta non può rimanere sospesa per decenni. I cittadini hanno il diritto di sapere se gli amministratori a cui hanno dato fiducia nelle urne siano corrotti o meno. Il “sistema giustizia”, caro Piero, è irriformabile. Nessun magistrato paga e pagherà mai per propri errori. Chi segue i lavori del Csm sa bene che ad essere bastonato ferocemente è solo chi si è dimenticato di mettere un timbro o non ha indossato la toga in udienza. L’unica soluzione al momento è cercare di evitare il più possibile di entrarci in contatto e farsi il segno della croce. Un consiglio, quest’ultimo, che mi sento di dare anche a chi non ha fede, pregando di incontrare prima o poi il “giudice a Berlino”.
Cordialità
P.S.: Voglio ringraziare tutti coloro che mi sono stati vicino e che non hanno mai creduto a queste accuse. In particolare, il presidente Antonio Leone ed il senatore Pierantonio Zanettin.
l'Unità